25 gennaio 2014

"Il Palazzo Pretorio di Matteo Civitali in Lucca"

A dicembre 2013 è stato presentato un libro che racconta tramite documenti e fotografie d'epoca e attuali la storia del Palazzo Pretorio di Matteo Civitali in Lucca.
Il volume, edito dalla casa editrice lucchese Maria Pacini Fazzi Editore è stato scritto da Osvaldo Nieri e Giovanni Pacini, grazie alla volontà e contributo dell'Autorità di Bacino Pilota del Fiume Serchio e la Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia.
Le foto del libro sono di Gabriele Caproni, Paola Manfredini, Lucio Ghilardi, Archivio Fotografico Lucchese "Arnaldo Fazzi", mentre i documenti storici provengono dall'Archivio di Stato di Lucca e dall'Archivio Storico Comune di Lucca.

Dall'introduzione del Dott. Raffaello Nardi (Segretario Generale Autorità di Bacino Pilota del Fiume Serchio) e Dott.Alessio Colomiciuc (Presidente della Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia)

“Cuore della città sin dall'epoca romana, Piazza S. Michele è l'area dove è ubicato il Palazzo Pretorio e dove da sempre si sono concentrate le principali funzioni pubbliche e private della città.
Gli autori di questo volume presentano, attraverso documenti inediti, la varie fasi della sotria della fabbrica della Loggia e del Palazzo dimostrando che il progetto originario del Palazzo fu opera di Matteo Civitali.
La ricostruzione documentaria, per quanto laboriosa e lunga, come dichiarano gli autori stessi,  è stata premiata però da questa acquisizione che riconferma il Palazzo del Podestà fra gli edifici più prestigiosi della città, legandone la storia politica a quella artistica e architettonica.
Un volume che accompagna il lettore alla scoperta delle vicende che nel corso dei secoli hanno unito strettamente il Palazzo alla città e alla piazza San Michele, dove storia, arte, cultura, commerci e finanza si sono intrecciate fino ai nostri giorni.”



18 gennaio 2014

Test Elmar 90/4 C: poco costoso, molto dignitoso.

Negli anni 70 la Leica si trova ad affrontare la prima grande crisi  dopo i fasti del dopoguerra. Dominatrice dei mercati con le macchine a telemetro nei primi anni 60, l'egemonia di Leica viene via via scalzata dai nuovi modelli reflex giapponesi, che iniziano ad imporsi presso i consumatori e i fotografi professionisti.
Superata nella visone diretta attraverso l'obiettivo (il fotografo non doveva più immaginare l'inquadratura), superata nell'esposimetro (era incorporato nella macchina e non occorreva più il Leicameter esterno), superata nella disponibilità di ottiche (con la telemetro non si andava oltre il 135 a meno di non usare l'ingombrantissino Visoflex), la Leica a telemetro rimaneva uno strumento immediato e indistruttibile, ma i vantaggi delle reflex si facevano sentire. 
In ritardo di anni Leica nel 1965 propone la Leicaflex, già superata al momento dell'uscita a causa del suo esposimentro esterno pur essendo costruita con standard qualitativi sconosciuti all'industria giapponese. Per rimediare esce nel 1968 la SL, seguita dalla SL2 nel 1974. Nel contempo (1973) viene offerta sul mercato la leica CL, una macchina a telemetro più piccola e soprattutto  meno costosa della  Leica M5 (1971-1975), la prima macchina a telemetro con esposimetro incorporato (corpo più grande con cellula posta su di un braccio retrattile).
All'epoca per recuperare il costo di produzione di una Leicaflex SL occorreva vendere circa 2 obiettivi e mezzo. Era una lotta impari contro l'irrompente offerta di prodotti giapponesi, che nei modelli di punta avevano poco da invidiare alla robustezza delle macchine teutoniche.
Inizia così una collaborazione con Minolta per la produzione della CL e di due ottiche, il 40/2 summicron e il 90/4 Elmar C. Ne viene progettata anche un'altra, il 40/2,8 Elmarit, ma dopo una iniziale produzione di circa 400 pezzi non si da seguito alla commercializzazione. Oggi sono molto costosi, ed appartengono al mercato del collezionismo. La Cl è una macchina molto compatta, e permette di avere un corredo minimale dentro una piccola borsa. Tuttavia sulla Cl era possibile utilizzare parte delle ottiche che erano state progettate per le Leica tipo M, pur avendo una base telemetrica più ridotta, che comportava delle inesattezze di messa a fuoco con obiettivi luminosi o con focale tipo 90 mm. La macchina ha al suo interno le cornicette per il 40, 50 e 90 mm.
Minolta da parte sua mette in produzione il Rokkor 40/2 che andrà a corredare la Minolta/Leica CL e successivamente, con un trattamento antiriflesso migliorato, la Minolta CLE, la prima macchina fotografica a telemetro che leggeva la luce su di un particolare disegno della tendina dell'otturatore, metodo ripreso nel 1984 dalla Leica M6.
Per la Minolta CLE verrà prodotto anche un 28/2,8 e un 90/4 stretto parente del 90/4 C di Leica. Questi obiettivi non hanno nulla da invidiare agli omologhi tedeschi. Tanto che le cornicette della CLE sono riferite proprio al 28,40 e 90, pur con delle limitazioni nell'utilizzo degli obiettivi Leica M, sia per la corta base telemetrica che per la struttura di certi obiettivi che andavano a tappare la finestrella del telemetro.
Dopo questi cenni storici che ci permettono di inquadrare il momento in cui viene disegnato e prodotto il 90/4 C entriamo nel vivo dell'argomento del post.
Prodotto dal 1973 al 1977 è stato uno dei modelli meno cari tra i 90 mm. offerti da Leica. Dotato di paraluce in gomma avvitabile è molto compatto. 
A tutta apertura l'obiettivo mostra una buona costanza di qualità sul campo inquadrato, con tuttavia un visibile deterioramento agli angoli dell'inquadratura nei particolari fini, mentre il macrocontrasto rimane molto buono su tutto il campo. Una lieve vignettatura affligge comunque gli angoli.
Chiudendo un diaframma, quindi a 5,6, si denota un innalzamento generalizzato delle contrasto e soprattuto del microcontrasto, anche se l'obiettivo soffre di astigmatismo via via che ci si allontana dal centro, con una riduzione del microcontrasto sensibile verso le zone esterne.


Al centro l'ottimizzazione della qualità la raggiungiamo intorno a diaframma 5,6/8, mentre verso f 11 sembra apparire leggermente l'effetto della diffrazione che diventa evidente a f 16.
 Nella zona mediana interna sil miglior diaframma è indubbiamente f 8, con f 5,6 e f 11 che esprimono la stessa qualità visiva, mentre a f 16 e f 22 il microdettaglio tende a divenire flou.

Nella zona esterna, senza arrivare agli angoli, ancora una volta il miglior diaframma è f 8, con lo stesso giudizio espresso per la zona mediana interna in relazione agli altri diaframmi.

Negli angoli la qualità fa fatica a salire e bisogna arrivare a f 11 per ottenere il miglior compromesso come qualità, che non arriva mai al livello delle altre zone; f 8 lascia l'immagine leggermente "striata".
 Da questa analisi possiamo concludere che l'obiettivo se la cava particolarmente bene a f 5,6 e 8 per soggetti nella zona centrale allargata, mentre occorre chiudere a f 11, sacrificando leggermente la zona centrale per otterere una omogeneità di resa su tutto il fotogramma.

A titolo di pura curiosità segue un confronto con un concorrente diretto, il 90/4 III lenti e un super concorrente, il 90 APO Summicron. Per verificare cosa è successo negli ultimi anni, mentre i due 90 più anziani sono chiusi a diaframma f 8 (il loro ottimale), la foto presa in esame con l'APO-Summicron è scattata a f 2. Se al centro sembra cedere qualcosa, agli angoli a f2 surclassa di gran lunga i due progenitori!

Concludendo, il 90/4 C se la cava molto bene chiudendo uno  o due diaframmi per raggiungere il picco di qualità senza che la diffrazione si faccia sentire. Il confronto con il 90/4 III lenti lascia senza vinti e vincitori, soprattutto per un uso normale (e per normale intendo una foto stampata 30x45  e non una visione a pelo al 100% al monitor). Rimane una sostanziosa diffferenza di prezzo. Per 300 euro (mediamente) è difficile trovare un altro 90 mm leica che tuttavia permette di ottenere immagini di ottima qualità.
Come al solito per concludere qualche fotografia scattata con il 90/4 C.
Leica MM - 6400 ISO

7 gennaio 2014

In attesa della Befana

E' sera, dopo cena. 
L'orecchio è attento al più piccolo rumore, l'attesa è densa di emozione; ogni minimo tintinnio mi fa sussultare, aspetto con ansia lo scampanellio che annuncia la sua venuta:
è la sera della Befana. 
Sono mesi che l'attendo. Da tempo ho scritto la lista dei regali desiderati e ho imbucato la letterina (almeno mamma mi ha assicurato d'averlo fatto!), mi ha proprio aiutato la mamma a scriverla, tenendo la mia manina; spero proprio che trovi tutto quello che desidero, non si sa mai, in questi tempi di crisi.
La Befana sicuramente ha  visto  che mi sono comportata bene, non ho detto bugie, ho aiutato la mamma e il babbo quando me lo chiedevano, non ho litigato con il mio fratellino... almeno non più di tanto.
Non vedo l'ora di sentire lo scampanaccio che annuncia la sua venuta, della vecchietta che la sera del 5 gennaio, a cavallo della sua scopa,  porta i regali a noi bambini... penso che abbia degli aiutanti, non so altrimenti come faccia a portare i regali  a tutti.
L'ho vista l'anno scorso, nella sua casina di montagna, mi ci ha portato papà. 
Mi ha regalato delle caramelle.
Ora sono qui che l'aspetto, guardando nel buio.
Mio fratello mi ha detto che la Befana ha un  suo segreto. Ed è un segreto terribile, perchè se un bambino lo scopre lei non si fa più vedere... mai più. 
E forse è per questo che ai grandi non porta più i regali: hanno per forza voluto saperlo, il segreto della Befana... 
Perchè i grandi vogliono sempre sapere tutto, capire ogni cosa, fare i conti su tutto, smettere di sognare...
Forse sarebbe bene che i grandi, in qualche angolino della loro testa, rimanessero un pochino bambini come me....